Istruttiva visita da Ronchi di Cialla

di Sissi Baratella 10/11/20
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Ronchi di Cialla Ivan e Pierpaolo Rapuzzi

Nel corso della visita alla famiglia Rapuzzi, la nostra inviata confessa di essersi innamorata dello Schioppettino, pur riconoscendo la validità degli altri rossi e anche dei vini bianchi.

Ronchi di Cialla è un’azienda friulana a dimensione famigliare. La famiglia Rapuzzi, nella valle di Cialla a Prepotto, coltiva solo varietà autoctone a partire dagli anni ’70 a coronamento del sogno di cambio di vita di Paolo e Dina Rapuzzi. Oggi Paolo non c’è più ma Dina e i loro due figli, Ivan e Pierpaolo, portano avanti questa missione. Lo fanno con competenza, rispetto e un pizzico di ostinazione. 

Proprio l’ostinazione ha fatto sì che quel cambio di vita, negli anni ’70, segnasse per sempre la viticoltura del luogo. Col tempo le loro viti hanno imparato a vivere secondo il ritmo della natura in armonia con l’ambiente e chi lo abita, fanno vini dal grado alcolico contenuto, le produzioni si auto regolano e le vinificazioni sono spontanee. Posseggono molte vecchie annate, disponibili sul mercato, arrivando tranquillamente anche a 40 anni fa. Che si parli di verduzzo o di pignolo la sensazione caratterizzante l’intera produzione è una persistente e penetrante sapidità. L’azienda è “Biodiversity Friend”.

Questa famiglia con le uve bianche negli anni in bottiglia ha sempre saputo emozionare. In cima alla classifica il Picolit Cialla Friuli Colli Orientali 2008, da vigne del Cru Picolit. Piante immerse nel bosco, su terrazzamenti in collina, costantemente cullate dal vento e adeguatamente baciate dal sole. Picolit, varietà che richiede molto tempo e molta pazienza, discontinua nella produzione e poco generosa, viene anche declinata, quando l’annata lo permette, in versione secca. Sôl, decisamente più insolito, è un vino sa di sole e di vita. Ho assaggiato una 2009 ancora vibrante. Teso in bocca e verticale aveva un che di mediterraneo. 

Se i vini bianchi mi hanno convinta, è con i rossi che mi sono appassionata. Coltivano pignolo, refosco dal peduncolo rosso e schioppettino. Devo (sento un obbligo morale) e voglio raccontarvi la storia di come la famiglia Rapuzzi ha salvato quest’ultima varietà, e dopo averla letta, spero, vi verrà subito voglia di provarlo. 

Premessa: lo schioppettino è un’uva rossa autoctona friulana, dal grappolo mediamente spargolo, dalle bacche grandi e un rapporto buccia-polpa a favore della polpa, ricca in tannini è povera in antociani. Sebbene autoctona e con innumerevoli testimonianze storiche a suo favore, negli anni ’60 era pressoché estinta, tanto che fu esclusa dall’elenco delle varietà autorizzate a propagazione e coltivazione. 

Erano i primi anni ’70, quando ostinazione in compagnia di un po’ di incoscienza, animarono lo spirito di Paolo Rapuzzi, deciso a dare una svolta alla sua vita. Dedicatosi da poco all’agricoltura, aveva letto e udito testimonianze inconfutabili sul ruolo che quest’uva, ormai scomparsa, aveva avuto in passato sul territorio. Convinto che ci dovesse essere stato un motivo valido di tanto narrare decise, rischiando in prima persona, che l’avrebbe coltivata. Venne a sapere che ne esistevano ancora 70 piante, di cui 30 dell’allora sindaco di Prepotto, personaggio chiave che non esitò ad assecondarlo. Fu così che, vigne alla mano, a ostinazione e incoscienza si aggiunse anche intuizione. L’intuizione che quella varietà andava assolutamente preservata. 

La fece replicare e la piantò sotto falso nome, andando incontro a rischio di denuncia penale, espianto e revoca dei diritti di impianto. Ma la fortuna, eh sì perché serve anche quella ogni tanto, volle che tra i primi ad innamorarsene ci fu proprio Luigi Veronelli. Quell’anno Veronelli era in commissione di degustazione per il conferimento del premio “Barbatella d’Oro”, vinto, mettendo tutti d’accordo, dallo Schioppettino di Rapuzzi. Le carte ormai erano scoperte, il vino piaceva, piaceva a tal punto da sbaragliare la concorrenza. Complice il supporto di una voce autorevole come quella di Veronelli e il premio appena ricevuto tornare indietro non era più impossibile. E così lo schioppettino, nel 1976, ottenne meritatamente l’autorizzazione e tornò ad essere varietà ammessa. 

Nel 1978 nacque la prima annata ufficiale 100% schioppettino di Ronchi di Cialla. E dal ’78 non fu più solo il territorio a parlare, attraverso i racconti, di quel vino, ma finalmente anche il vino poteva tornare a parlare di territorio… tutto il resto è storia!

Nel corso della mia visita alla famiglia Rapuzzi, oltre a godere dei racconti emozionanti di mamma Dina e della conoscenza, lodevole, dei suoi due figli, ho avuto il piacere di assaggiare tutta la produzione. Dal blend Ciallabianco 2016 alle sfumature intriganti del Picolit e di Verduzzo, sia dolci che secchi, fino a un’entusiasmante verticale di Schioppettino: 2015, 2004, 1996, 1992, 1986 e per finire 1983. Annate tutte in vendita. 

Schioppettino di Cialla Friuli Colli Orientali sottozona Cialla 2015

93 - € 40

Da uve schioppettino. Matura in barrique per 12 mesi dove svolge la malolattica. Rubino dai riflessi rosa. Al naso note di rosa canina, tra il dolce e lo speziato. Tipico sentore di pepe nero. In bocca ciliegia e susina croccanti. Al palato mix tra cremosità e freschezza. Sapido e persistente, sebbene ancora snello ha una struttura avvolgente. Promette abbondante margine di crescita ed evoluzione.

Ciallabianco Friuli Colli Orientali sottozona Cialla 2016

91 - € 25

Da uve ribolla gialla 60%, picolit 30% e verduzzo 10%. Fermenta in barrique, matura in legno sur lie per 12 mesi. Giallo paglierino. Note dolci di gelsi e susine gialle. Qualche tocco vegetale di erbe officinali, fiori di acacia e rosa. Entra in bocca cremoso e molto sapido. Al palato è verticale con un finale amaricante. 

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