Valtellina Sfursat Cà Rizzieri, giovane di altri tempi

di Francesco Annibali 04/03/15
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Valtellina Sfursat Cà Rizzieri, giovane di altri tempi

Aldo Rainoldi ha 41 anni, ha conseguito il diploma di perito agrario presso l’istituto tecnico agrario di Bergamo e si è laureato in viticoltura ed enologia presso la facoltà di Agraria di Torino. Dopo alcune esperienze lavorative in diverse regioni viticole italiane ed una in Napa Valley, lavora stabilmente nell’azienda di famiglia dal 1999. Una famiglia che ha legato indissolubilmente il proprio nome a quello del vino, essendo commercianti e viticoltori da inizio Novecento.

Doctorwine: Il cambiamento meteo sta favorendo la Valtellina del vino?
Aldo Rainoldi: Se penso all’ultima vendemmia direi di no. Credo che la Valtellina oggi si avvantaggi di un’idea di qualità in vigneto che così ambiziosa non è mai stata prima.

DW: L’ambizione è sacrosanta, ma per migliorare occorre mettere da parte i pregiudizi. Al netto della retorica che vuole il nebbiolo poco a suo agio con la barrique, non crede che per lo Sfursat il legno piccolo sia la soluzione forse più adatta?
AR: Avendo esperienza con lo Sfursat sia con il legno piccolo che con botti da 25 hl, e premesso che per me il legno è solo uno strumento che serve a far emergere in maniera chiara e netta la chiavennasca, le dico che gli Sforzato delle ultime vendemmie sono vini che fanno sentire il loro peso e che quindi ben reggono il legno. Il legno, piaccia o no, per questo tipo di vino è irrinunciabile. Le dirò di più: per la mia esperienza un legno troppo grande può rappresentare un limite.


DW: L’appassimento può rimediare ad un’uva di partenza non molto buona?
AR: L’esperienza mi insegna che lo Sfursat non può diventare un rimedio per le uve di annate difficoltose. Posto che le uve devono avere una sanità ineccepibile pur avendo raggiunto un buon livello di maturazione (diversamente si concentrano durezze e squilibri), ritengo lo Sfursat senza dubbio il vino più difficile da produrre. Come ho evidenziato prima, l’appassimento offre delle straordinarie opportunità in termini di complessità e ricchezza, ma ci sono delle insidie in questo processo: il rischio di fare un vino surmaturo, o stucchevole, quando poco bevibile. In tutta onestà servono vigneti che offrono garanzie, ma certamente il fattore umano diventa, per questo vino, un aspetto centrale. Epoca di raccolta, modalità di gestione delle fermentazioni e dell’evoluzione sono particolarmente delicate e richiedono una grande capacità di controllo del processo. Affermo questo perché vorrei sempre che, anche nell’appassimento, la gente trovasse il sapore del nebbiolo, della Valtellina e quella freschezza e bevibilità che pochi vini di quella struttura possono offrire. Ecco vede: noi possiamo, se ne siamo capaci, fare un vino che fa della concentrazione l’elemento caratterizzante senza perdere per strada quella finezza che la felice collocazione geografica ci offre.

DW: Quanto conta l’andamento meteo dei cento giorni di appassimento?

AR: Lei coglie un aspetto centrale di questo vino. Lo Sfursat è la risultante dell’andamento climatico di due stagioni: quella dell’uva in pianta che culmina con la raccolta; e quella dell’appassimento che termina con la pigiatura delle uve. Per questa ragione la qualità della annata di un Valtellina Superiore non coincide necessariamente con quella dello Sfursat.
Non mi soffermo su ciò che serve alle uve per arrivare nelle condizioni migliori alla raccolta, ma vorrei sottolineare l’importanza, a ridosso della vendemmia, di giornate soleggiate accompagnate da notti fredde che oltre a favorire la sintesi dei precursori di aroma, determinano altresì una maggiore durezza della buccia. Una volta in fruttaio, sono veramente molto importanti le prime fasi dell’appassimento, poiché il raspo è una fonte di umidità e le temperature del mese di ottobre non sono ancora sufficientemente basse. Normalmente il periodo più critico per le uve va dalla raccolta a metà novembre. Dopo questo periodo è il freddo ad abbassare la forza d’urto della botrytis. Per quanto riguarda i famosi 100 giorni, oggi partiamo da uve un po' più mature in ottobre, e dunque abbiamo ridotto questo lasso di tempo, nell’ottica di produrre un vino con maggiore freschezza ed invariata potenza.

DW: Con cosa beve lo Sfursat Aldo Rainoldi?

AR: Con il Bitto stagionato è amore a prima vista. Cosa potrei dirle ancora: selvaggina, brasati, stufati, non sbaglierei. Mi conceda però questa riflessione. Non le capita a volte di voler bere una bella bottiglia anche se quella sera non ha preparato nessuno dei piatti sopra menzionati? Non le è mai capitato di voler condividere un buon vino con una persona a cui tiene in maniera particolare? Ecco per me quello è l’abbinamento, situazione e persona. Credo personalmente di aver goduto dei più grandi vini con un po' di pane, magari qualche fetta di salame, nulla di più. Attorno a me c’erano però delle persone con cui volevo condividere quella bottiglia. Ecco per me quello è il momento giusto per aprire una buona bottiglia di Sfursat.

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