Pantelleria l’isola dimenticata

di Riccardo Viscardi 07/11/18
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alberello pantelleria vigna

Passiti eccezionali e bianchi secchi molto interessanti, eppure la produzione vinicola dell’isola non si riesce ad imporre come dovrebbe.

L’inverno è arrivato. Tutti ricordano l’estate e parlano di mare, di spiagge esotiche, di isole lontane. Nessuno menziona Pantelleria, un gioiello dimenticato, da migliaia di anni crocevia di culture, di popolazioni misteriose e sparite, di correnti migratorie da e per l’Africa e dal Medio Oriente; se la pronunci nemmeno sanno dove si trova.

Per noi appassionati di vino, è un luogo importante perché qui nasce il Passito di Pantelleria, uno dei vini dolci più importanti di Italia con una storia millenaria. Il suo metodo di allevamento che comprende l’alberello e il sistema della “conca” ha ricevuto il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’Unesco, mentre il F.A.I ha adottato il giardino pantesco: altra peculiarità isolana. I due sistemi rispondono in scala diversa al problema grave dell’isola: la mancanza d’acqua dolce. Metodi semplici ed ingegnosi, che insieme al sistema dei muretti a secco, che coprivano linearmente oltre 6.000 km, permisero agli agricoltori di coltivare una terra aspra ma ricca con una grande variabilità di climi e di terreni.

Purtroppo negli anni l’isola ha perso molta ricchezza a causa di concorrenze extraterritoriali importanti che hanno fatto volatilizzare migliaia di ettari vitati. I 4.000 ettari originari erano in gran parte dedicati ad uva da consumo fresco, soppiantata dall’uva Italia, o allo zibibbo destinato ad uva passa, messo in crisi dalle varietà senza semi allevate in Turchia. Al netto di questi avvenimenti anche la superficie vitata a fini enologici ha avuto una brusca riduzione che, sebbene con dati contrastanti, si aggirerebbe intorno al 30% negli ultimi 20 anni. Questi avvenimenti hanno contribuito in maniera sostanziale alla emigrazione dei giovani dall’isola e all’abbandono delle campagne.

Per far fronte a questo il consorzio volontario per la tutela, sebbene latitante dal 1997, grazie a nuove personalità presenti all’interno ha iniziato un percorso differente per dare slancio e lustro ai vini della denominazione. Un momento importante per l’isola che non vive per fortuna di solo vino, ma anche di allevamento di capperi e di turismo, che le istituzioni vorrebbero implementare soprattutto nella durata e nell’allungamento della stagione.

Il consorzio consta di 9 aziende imbottigliatrici associate rispetto alle 19 presenti sull’isola, quindi una quota ancora minoritaria. Comunque rappresenta più dell’80% del vino prodotto in loco grazie alla presenza di due corazzate come Donnafugata, con più di 60 ettari di vigna sull’isola, e Pellegrino, che invece lavora circa il 60% dell’uva moscato prodotta a Pantelleria tramite l’acquisto delle uve. Poi abbiamo il rude Salvatore Murana, vera icona Pantesca con i suoi meravigliosi vini e De Bartoli, altra azienda dal fascino antico e meraviglioso con il suo Bukkuram. Tra gli emergenti ci sono Coste Ghirlanda, della esuberante ex cestista Giulia Pazienza, e l’azienda dello scoppiettante innovatore Fabrizio Basile.

Ma non tutto è roseo sull’isola. Per la futura crescita della zona, che ha già delle menzioni importanti e conosciute al pubblico come Khamma, Martingana, Mueggen, Bukkuram, Gadir, insomma le vecchie contrade che ci hanno regalato gli arabi, ci vorrebbe una Docg peraltro facile da ottenere e queste sottozone verrebbero esaltate. Invece i due vini secchi a base zibibbo ad ampia diffusione e di buona qualità, che vengono imbottigliati come doc Sicilia, potrebbero esaltare la doc isolana. Insomma molte cose andrebbero ripensate. Forse il disciplinare della doc andrebbe snellito da alcune tipologie, mi riferisco ai liquorosi (che però hanno una buona fetta di mercato nella Gdo) oppure almeno non inseriti nell’eventuale docg. Perché non è spendibile mediaticamente un territorio dove il 75% di vino a base moscato è imbottigliato come liquoroso, il che di certo non esalta il territorio.

Peccato per queste piccole smagliature perché i vini secchi sono molto interessanti e i passiti sono da buonissimi a eccezionali, con delle diversità territoriali e stilistiche affascinanti che ghettizzarli a vini da fine pasto è una follia.

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