1985: fu vera gloria?

di Daniele Cernilli 15/06/20
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Annata 1985 Sassicaia

Annata osannata fin dall’inizio, in molti casi la 1985 produsse vini non così longevi, che vissero una straordinaria giovinezza e una complicata maturità.

In tanti anni mi sono imbattuto in tante cosiddette “annate del secolo”, ma raramente una ha messo d’accordo tutti almeno nelle prime fasi della sua vita. La vendemmia dell’85 è stata probabilmente quella sulla quale fin dall’inizio si sono sprecate parole di entusiasmo. Poi le cose andarono abbastanza diversamente, e in ogni caso ci furono vini molto importanti, ma non sempre e non dovunque soprattutto. 

Come è accaduto diverse volte, quelle annate che inizialmente partirono come “brutti anatroccoli” si dimostrarono migliori. In questo caso, e soprattutto a Bordeaux, molti ’86 finirono per surclassare gli ’85, dati forse troppo frettolosamente come grandissime espressioni di quella zona. Tra i vini “stellari” ricordo, ad esempio, uno Château Lafite ’86, un Leoville Las Cases ’86 e un Haut Brion ’86 decisamente più validi e più longevi dei rispettivi ’85. In qualche caso accadde anche in Langa, con qualche nervoso ’86, il Barolo di Citrico Rinaldi su tutti, in grande spolvero e ben migliore dell’85. 

Per il Sassicaia andò diversamente.  L’85, che fu un’annata calda un po’ ovunque, con espressioni possenti e immediate, per quel vino divenne un punto di riferimento. In assaggio coperto, in tutti i concorsi enologici del mondo, mise in fila quasi sempre tutti i grandi Cabernet internazionali, e divenne ben presto un vino leggendario. Il mio primo approccio con il Sassicaia ’85 fu quando era ancora in barrique. Sarà stata la primavera dell’88 quando mi arrivò una telefonata di Giacomo Tachis, enologo sommo per il quale avevo una sorta di venerazione, e al quale ero imprevedibilmente simpatico, che mi disse che doveva farmi assaggiare un vino molto importante. 

Appuntamento a pranzo al Gambero Rosso di San Vincenzo, da Fulvio Pierangelini, e al tavolo solo io, lui e ovviamente Nicolò Incisa della Rocchetta. Da assaggiare quella versione di Sassicaia che ancora non era in commercio e non era ancora etichettata. “Daniele, ha 4.000 di polifenoli, è un vino imponente, mai successa una cosa del genere. Annata siccitosa, abbiamo prodotto molto meno, ma ha una struttura da fuoriclasse. Forse è meno Sassicaia del solito, meno vellutato, forse meno elegante, ma ha souplesse e di sicuro è una bomba”. Cito a memoria, qualche tono forse lo esagero, ma il senso del discorso era quello. E il vino era quello. Più scuro del solito, e poi si veniva da due annate più piccole come ’83 e soprattutto ’84. Profumi avvolgenti, molto intensi, tannini quasi ipnotizzati da una ricchezza estrattiva impressionante, con un corpo caldo, glicerico, con una persistenza infinita. 

Qualche anno dopo Tachis mi avrebbe confessato che forse lui preferiva l’88, che all’epoca non c’era ancora, ma è fuori discussione che quel Sassicaia ’85 era formidabile fin da allora. Uscì sul mercato di lì a poco e divenne un’icona assoluta del vino italiano, un punto di riferimento, uno di quelli che spuntarono quotazioni elevatissime in tutte le aste internazionali. Le poche bottiglie oggi rimaste costano una follia. Ma paradossalmente fu uno dei pochi vini di quell’annata a mantenere le promesse. In molti altri casi, in Langa, a Montalcino, gli ’85 non furono così longevi e vissero una straordinaria giovinezza e una complicata maturità. Capita a chi è troppo bello troppo presto e rischia di restare un po’ infantile, perché per avere successo non fa troppa fatica. 





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