L’enologia virtuosa

di Daniele Cernilli 23/04/19
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Enologia Virtuosa DoctorWine

Parliamo di pratiche enologiche moderne tese a valorizzare origini e caratteri, la “territorialità” e che non solo sono positive ma addirittura alla base di molti vini locali e non.

In certi ambienti parlare di enologia e del ruolo degli enologi risulta essere argomento scivoloso. Sembra quasi che tutto ciò che ha a che vedere con la tecnica produttiva e con la ricerca legata all’enologia sia qualcosa di artefatto e di innaturale, che contribuisca soltanto a “taroccare” i vini, a renderli omologati e non rispettosi di origini e tradizioni.

Non serve far notare come alcune pratiche che sono alla base di vini molto amati e considerati siano raffinati protocolli enologici. Pensiamo per esempio alla spumantizzazione, che comporta sistemi di vendemmia, di vinificazione, di rifermentazione che se non sono eseguiti con grande attenzione, con esperienza, conoscenza e tecnica non riescono a dar vita a prodotti di qualità. Gli Champagne, i Franciacorta, i Trentodoc, ma anche molti Prosecco sono frutto di accurati processi, controllati in ogni parte con grande cura. Frutto dell’applicazione di profonde conoscenze enologiche. Lo stesso si potrebbe dire per i vini che derivano da appassimento, per quelli che propongono caratteri varietali precisi.

C’è addirittura chi sostiene che la rinascita di molti vini da vitigni tradizionali, che erano in passato quasi scomparsi per la difficoltà che presentavano in fase di viticoltura e di vinificazione, sia il risultato di una migliore applicazione di tecniche enologiche, che hanno modificato i tempi di macerazione in molti rossi, che hanno applicato tecniche come quella del delestage con l’eliminazione dei vinaccioli, persino con attenti contatti fra mosti e bucce nel caso di uve bianche, con tecniche che vanno dalla criomacerazione fino alla produzione, con determinati vitigni, di veri e propri orange wines.

C’è insomma un’enologia virtuosa, tesa a valorizzare origini e caratteri, quella che qualcuno chiama “territorialità” e che non solo è positiva ma è addirittura alla base di molti vini locali e non. Esistono molti produttori giovani che studiano con rigore nei principali istituti enologici italiani e talvolta anche esteri senza che questo li porti a tradire vini e territori, ma che anzi li aiuta a interpretarli meglio.

Poi, certo, ci sono anche tecniche invasive, protocolli uniformanti, vini massacrati da una sorta di accanimento enologico. Cose che accadono in tutti i settori della produzione alimentare in tutto il mondo, e non solo. La ricerca genetica sta determinando la possibile vittoria sul cancro, insomma, e non è solo quella abominevole di Mengele.

Ecco, non vorrei che per criticare certi eccessi enologici si buttasse via, come si suol dire, il bambino con l’acqua sporca del bagnetto, e qualche volta certi discorsi che sento e che leggo, mi sembrano proprio delle cose del genere.


 





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