La critica e il buon senso

di Daniele Cernilli 10/07/17
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La critica e il buon senso

La critica avulsa da un “comune sentire”, spesso dovuta a un atteggiamento di superiorità“culturale” che molti critici hanno, è semplicemente inutile e persino dannosa.

C’è un equivoco abbastanza diffuso nel mondo della critica, di qualunque genere essa sia. Musicale, letteraria, cinematografica e anche enogastronomica. La recente scomparsa di Paolo Villaggio me lo faceva rivenire in mente. Alcuni grandissimi artisti, Villaggio, ma anche Totò, e nel mondo dell’arte Roy Lichtenstein, hanno ricevuto talvolta trattamenti dalla critica non adeguati al loro valore  per una serie di motivi che rivisti col senno del poi sembrano davvero insopportabili.

Molto ha a che vedere con l’atteggiamento di superiorità“culturale”  che molti critici hanno, e che finisce per far valutare il successo di pubblico come qualcosa di volgare e inadeguato, in sostanza poco importante nella formazione del loro giudizio, che scade inesorabilmente verso l’autoreferenzialità. L’aspetto ancor più ridicolo è che molti di costoro, anche nel nostro campo, si definiscono poi “di sinistra”, tradendo nei fatti tutto ciò che, tanto per fare un esempio, uno dei padri storici del pensiero socialista italiano, come Antonio Gramsci, sosteneva su argomenti simili.

Non la voglio fare troppo lunga e forse è il caso che torni sui miei passi velocemente, e su tematiche più consone a ruoli e luoghi. Nel nostro piccolo accadono in continuazione cose del genere, perciò se, per esempio, un vino ha un certo successo “popolare”, presso un pubblico di appassionati ma non di “enofighetti”, allora non va bene . Diventa “di moda”, “banale”, “costruito enologicamente”. Penso al Sauvignon Sanct Valentin, al Montepulciano Marina Cvetic, al Vintage Tunina di Jermann, persino all’Arneis Blangé dei Ceretto, o ai Franciacorta di Berlucchi, tutti vini che hanno segnato epoche e che tuttora hanno un grande successo.

E nel mondo della ristorazione le cose vanno più o meno nello stesso modo, così grandi locali di cucina tradizionale, la scorsa settimana ricordavo i Cantarelli, antesignani di tutto questo, non sono valutati adeguatamente, perché non corrispondono agli ideali “estetici” della maggior parte dei critici.

Allora provo a dire la mia. Credo che una critica avulsa da un “comune sentire” sia semplicemente inutile e persino dannosa . Credo che anche nel nostro settore si sia operato un distacco poco lungimirante con il pubblico e che questa sia una delle ragioni della sostanziale crisi della comunicazione enogastronomica. Credo che buona parte della rete, invece, stia ripercorrendo strade molto più ragionevoli e basate su buon senso e compatibilità economica. Credo che un atteggiamento elitario e snob da parte di persone che si sono autodefinite “critici” stia tradendo il loro ruolo autentico, quello di segnalare e di informare con onestà intellettuale e mettendosi nei panni dei loro lettori. E per ora basta così, ma ci ritorneremo sopra, soprattutto se anche voi direte la vostra.





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