Non siamo un paese per bianchi?

di Daniele Cernilli 10/06/19
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vini bianchi

Per molti degustatori esteri, l’Italia è un ottimo produttore di vini rossi, ma di bianchi no. Perché non sono facili da capire per chi è abituato ai vitigni internazionali.

A scanso di equivoci inizio subito dicendo che sto parlando di vini e non di altro, ci mancherebbe. Il senso del titolo sta nel fatto che andando in giro per il mondo e partecipando ad alcune commissioni di assaggio nell’ambito di alcuni importanti concorsi enologici internazionali, spesso colgo una sorta di sufficienza quando si valutano i bianchi italiani da parte di esperti di altri Paesi. Se per alcuni grandi rossi, Barolo, Brunello, Amarone, c’è ormai una considerazione diffusa, quando si affrontano i vini bianchi, soprattutto se derivanti da vitigni tradizionali, lo scetticismo è abbastanza imperante. Alcuni ottimi Soave, Verdicchio, Fiano, a mio avviso per una scarsa conoscenza e una difficile collocabilità in ambiti precisi, sono talvolta sottovalutati in modo davvero eccessivo.

Qualche anno fa un’importante testata americana pubblicò un articolo dove, nei fatti, si sosteneva che in Italia forse era meglio dedicarsi quasi esclusivamente ai vini rossi, perché di bianchi di livello elevato non ce n’erano o quasi. E quelli che talvolta vengono presi in considerazione sono spesso provenienti da vitigni internazionali. Chardonnay che somigliano a quelli californiani, più che borgognoni, qualche Sauvignon particolarmente varietale, quindi simil neozelandese, persino alcuni Riesling che somigliano vagamente a quelli della Wachau. Dove insomma gli aspetti che derivano dalla caratteristiche più note, e in parte scolastiche, dominano sugli aspetti territoriali, che sono invece molto meglio espressi da varietà forse più neutre, ma decisamente più rispettose di origini e denominazioni.

È un problema abbastanza diffuso ed è dovuto, a mio sommesso parere, a una sorta di pigrizia degustativa che spesso prende chi assaggia solo e sempre quelle sei o sette varietà “internazionali” e le riconosce con molta facilità. I nostri bianchi non sono così. Spiazzano chi non ha voglia di incuriosirsi e di capire. Non voglio dire che tutti gli assaggiatori siano così, conosco bene alcuni di loro che invece affrontano con spirito laico e rispetto il mondo bianchista italiano. Però c’è una buona parte di loro che magari si entusiasmano per un Palette o uno Chateauneuf du Pape blanc, che in fin dei conti non sono così diversi da molti nostri bianchi mediterranei, essendolo anche loro, ma non invece per un Timorasso o per un Friulano, per quanto eccezionali possano risultare invece a me. Da questo poi nascono fiere discussioni, che pur nel modo del tutto civile nel quale si svolgono, mi fanno capire che insistere troppo sarebbe inutile.

Ma davvero non saremmo un Paese per (vini) bianchi? Io non lo credo affatto, e continuo a berne parecchi. Spero perciò di trovare un po’ di comprensione e di supporto da parte di chi mi legge, così, per sentirmi meno solo a difenderli.


 





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