Vini ad handicap

di Daniele Cernilli 16/12/11
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Vini ad handicap

Continua la politica sostanzialmente autolesionista che l' UNI0Ne Europea sta da anni portando avanti nel settore vitivinicolo. Invece di porsi il problema di trovare un modo per ottenere un sistema di concorrenza più leale con le produzioni dei Paesi del cosiddetto Nuovo Mondo, si parla ancora di espianti e di tagli di aiuti per la promozione, soprattutto per quanto riguarda Italia e Francia. Così, a fronte di viticolture forzate, basate in modo pesante sull’irrigazione, senza la quale non sarebbe possibile in interi Paesi, quali Cile ed Australia, tanto per essere chiari, noi ci facciamo una ridicola guerra interna per stabilire chi e quanto debba essere aiutato nell’export al di fuori dell’UE. I fondi ocm (organizzazione comunitaria del mercato) non si sa se verranno confermati nei prossimi anni e la tassazione dei vini non europei è praticamente inesistente. A fronte di questo molti Paesi continuano a penalizzare i nostri vini con tasse molto elevate, per esportare in Russia, in Corea del Sud ed in Cina gli aspetti burocratici sono particolarmente complessi e la Cina stessa ha appena firmato un accordo con il Cile per abbattere in modo pesante i dazi sull’importazione dei vini di quel Paese. Non ha importanza se ci vogliono anche 500 mila litri di acqua per ettaro ogni anno, circa 40/50 litri per ogni litro di vino prodotto, solo per irrigare i vigneti. Cosa che in un momento di crisi idrica internazionale appare quanto meno paradossale. Nessuno dice nulla. Così oltre alla Cina anche la Gran Bretagna, che mi pare sia Europa, gli Stati Uniti e persino la Germania diventano terra di conquista per prodotti ottenuti in modo quanto meno discutibile. A fronte del fatto che, per i vini a denominazione di origine, in Europa i sistemi di forzatura come l’irrigazione non sono ammessi. Facciamo vini ad handicap, non penalizziamo chi fa diversamente e ci autoflagelliamo per gli eccessi di produzione che fino allo scorso anno erano evidenti, ma in parte anche figli di un sistema che consente ai concorrenti ciò che vieta a se stessi. Se fossi un parlamentare europeo italiano, francese o spagnolo io un ditino lo tirerei su per provare a far capire ai nostri confratelli europei degli stati non produttori di vino che qualcosa non va. Il Brasile ha concesso a Cile ed Argentina uno status molto favorevole per l’export dei loro vini su quello che è oggi uno dei mercati più vivaci del mondo per il vino. Perché la Gran Bretagna non fa lo stesso con i vini europei, preferendo per una volta la sua appartenenza al Vecchio Continente invece che il suo ormai tramontato ruolo di leader nell’antistorico Commonwealth? Ci sarebbero cose da dire e da fare, ma tutto tace e i nostri rappresentanti in Europa non riescono proprio a farsi sentire. Ammesso che vogliano o sappiano farlo.
 





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