L’acidità non basta

di Riccardo Viscardi 25/01/17
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L’acidità non basta

Una gentilissima collega ti offre un passaggio in auto. Non hai più scuse per rifiutare un invito, sicuramente interessante, ma dove temi che i fantasmi del sangiovese ti appariranno in tutta la loro forza. Raggiungere Radda in Chianti in auto da Roma è semplice e anche molto bello: si passa tra fiabeschi boschi dove cerchi i Sette nani o Cappuccetto rosso e invece trovi il Lupo cattivo del tempo che erode il sangiovese; si mangia tutte le sue particolarità olfattive e ti rimanda l’osso, che non è l’essenza, bensì il suo limite al quale taluni inneggiano troppo, da un po’ di tempo a questa parte. Il tempo consuma anche la trama gustativa soprattutto se non era ben equilibrata al tempo dell'imbottigliamento o se l’uva era diluita per mille ragioni, spesso per scelte agronomiche discutibili.

Ci si potrebbe fermare qui per commentare l'interessante iniziativa intrapresa dall’Enoclub di Siena e dalla proloco di Radda in Chianti. Si confrontavano varie annate di 23 aziende del comprensorio, solitamente una di almeno 5 anni e poi indietro a scelta del produttore. Non tutti i produttori raddesi erano presenti, mancava qualche mito, ma per capire o monitorare le potenzialità di una zona (di un modo di pensare la produzione in questa zona particolare, fatta di altitudine, spesso di ombra) non è ai fuoriclasse che si deve guardare, che esistono e sono importanti, ma alla maggior parte della produzione ossia alla “massa critica” generata da quel territorio. Il compianto Mennea non rappresentava la velocità italiana: era un fenomeno purtroppo unico, tanto per chiarire il concetto.

La qualità media delle annate vecchie non è tale da far rimpiangere quel passato e getta forti dubbi su coloro che cavalcano l’onda delle acidità elevate a tutti i costi e di coloro che giustificano certe “inesattezze” olfattive dei vini in funzione di un credo “magico” secondo il quale invecchiando, l’olfatto del vino migliorerà indipendentemente dalla qualità iniziale. Un sogno, purtroppo irrealizzabile, che li porta a privilegiare derive evolutive anticipate piuttosto che a valorizzare la vena fruttata dei vini giovani. Questa degustazione sconfessa questa visione, penso in maniera definitiva; come viene anche confermato che la deriva acidistica, fine a se stessa, non porta molto lontano. L’effetto è paragonabile a quello della formalina: imbalsama abbastanza bene un corpo senza però riconsegnarlo alla vita.

Piccola chiosa finale: i vini che in gioventù avevano delle speziature lignee anche un po’ sovraesposte, hanno mantenuto un buon impianto olfattivo perdendo alcuni di questi “eccessi”. Quindi si sono difesi meglio e probabilmente con una maggiore consapevolezza dell’uso di tali legni il risultato sarebbe stato ancora migliore ma qui il discorso si complicherebbe troppo.

(Foto di apertura di Martino Balestreri)

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La deriva acidistica 14/01/2013 Daniele Cernilli Signed DW




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