Vini Sociali
Chi legge DW sa che ho personalmente una grande considerazione per il mondo cooperativo. Quanto meno per la parte più virtuosa di quel comparto, che a mio avviso ha molti meriti, non ultimo quello di consentire anche a chi possiede anche pochi filari di viti, di poter produrre la propria uva consentendo uno sbocco commerciale altrimenti impossibile. Se così non fosse, in un Paese come il nostro, dove la proprietà media di vigna per singolo viticoltore è di poco più di un ettaro, assisteremmo a un abbandono dei vigneti valutabile in più di un terzo dell’attuale superficie, con conseguenze molto pesanti, che vanno dal cambiamento del paesaggio all’incuria per molti terreni precedentemente agricoli, fino a una contrazione della produzione che produrrebbe un inevitabile aumento dei prezzi.
Solo le cantine cooperative riescono a intervenire, spesso positivamente, in questi settori, andando al di là del semplice ruolo di produttori di vino. Certo, poi ci sono anche gli esempi negativi, forniti, più in passato che oggi, da quelle che hanno dilapidato aiuti pubblici, prodotto vini scadenti, con gestioni fallimentari realizzate da gente incompetente quando non corrotta. Allo stato attuale, però, la maggior parte delle aziende cooperative italiane propongono vini come minimo corretti, e in alcuni casi semplicemente straordinari.
Ve ne segnalo qualcuno fra quelli che mi hanno colpito di più durante gli scorsi mesi, sperando di determinare qualche inversione di rotta da parte di chi ha per i “vini sociali” considerazioni negative e dubbi vari. E questo senza tirare in ballo le Kellerei Genossenschaft dell’Alto Adige, che sono le migliori cantine cooperative del mondo e sulle quali nessuno ha tentennamenti.