Perché il vino non sa comunicare
Il mondo del vino italiano è sempre più distante dal grande pubblico che finisce per apprezzarlo poco, con il conseguente crollo dei consumi interni.
Gino Veronelli negli anni Settanta riuscì nell’impresa di rendere il vino italiano protagonista nell’immaginario collettivo di milioni di persone. Ci riuscì con i suoi libri, con il Catalogo Bolaffi dei Vini, ma soprattutto con una trasmissione, A Tavola alle 7, che condusse su Rai 2 per diversi anni. Ebbe Umberto Orsini, Delia Scala e Ave Ninchi come co-conduttori, e in studio si cucinava e si parlava per la prima volta di vini di qualità a un pubblico vasto e allora per la massima parte ignaro.
Veronelli usò un modo molto accattivante per trattare quel tema, aiutato da grandi personaggi dello spettacolo che ricoprivano il ruolo dei curiosi, lo bombardavano di domande e qualche volta lo prendevano garbatamente in giro. Nessuno si prendeva troppo sul serio, tutti provavano a spiegare e a raccontare con termini comprensibili e il successo arrivò travolgente. Non sarà solo un caso se le maggiori città italiane si riempirono di enoteche proprio in quegli anni, e che i vini italiani iniziarono ad essere conosciuti prima da noi, poi anche in molti paesi esteri.
Non voglio sostenere che tutto sia stato determinato da quel programma, ma solo che a quei tempi l’argomento vino era molto più popolare in televisione di quanto non lo sia oggi . E la cosa non riguarda soltanto la Rai, o Mediaset o La 7. Riguarda anche i canali tematici, visto che né su Alice né tantomeno sul Gambero Rosso Channel sono attualmente in programmazione trasmissioni sul vino. Nei talk show sono spesso invitati gli chef, mai un produttore di vino, nonostante quel mondo sia pieno di personaggi simpatici e brillanti.
E non finisce qui. Al Festival della Filosofia di qualche anno fa ci fu un dibattito fra Umberto Galimberti e… Gianfranco Vissani. Non Gaja, Antinori o Walter Massa, insomma. Perché questo? Alla Rai non hanno problemi a fare i nomi dei modelli di auto, con tanto di marche in evidenza nei programmi specifici, come non hanno problemi a fare pubblicità ai cuochi. Ma per i vini vige il divieto assoluto di mostrare le etichette. Si può parlare in senso generale di denominazioni e di zone, ma non di singoli vini e di singoli produttori. Poi il vino non sarebbe “televisivo”, perché più di far ruotare il liquido nel bicchiere non determina “azioni” spettacolari, mentre un cuoco che cucina agisce e fa spettacolo. Infine il linguaggio del vino appare sempre più ermetico, roba da esperti, noiosi e sussiegosi, che parlano a se stessi e a qualche adepto del cerchio magico enologico.
Veronelli, insomma, oggi non potrebbe fare quello che fece quarant’anni fa, con il risultato che il mondo del vino italiano è sempre più distante dal grande pubblico che finisce per apprezzarlo poco, con il conseguente crollo dei consumi interni. Se a questo ci aggiungiamo una campagna antialcolica che fa di tutta l’erba un fascio, nonostante il più che dimezzamento dei consumi di vino in Italia negli ultimi vent’anni, il ritratto è quasi completo.
Certo, anche i produttori, gli enologi, noi che scriviamo, talvolta ce la mettiamo tutta per contribuire a questo. Un focus troppo specialistico, troppo elitario, su vini molto costosi e molto difficili da reperire. Un modo di comunicare che spesso si limita a raccontare di modi di vinificare, di tecnicismi, di filosofie produttive particolari, senza preoccuparsi di spiegare con termini comprensibili, non serve a granché. Rischia di escludere, non di far condividere.
Bisognerebbe invertire la tendenza, fare più manifestazioni come Cantina Aperte, unico vero evento di massa del nostro settore, provare ad aprire spiragli comunicativi e di condivisione più efficaci. Spiegare anche ai nostri “televisivi”che la BBC fece un programma di successo sul vino condotto da Jancis Robinson, una delle maggiori esperte del mondo, e che si può parlare di vino in modo semplice ma adeguato ed efficace anche in Tv, a patto di non banalizzare e di non buttare tutto in burletta, e alludo alle ultime comiche edizioni di Linea Verde, ad esempio. Cose non difficili da fare, molto più difficili da far capire.