Il recupero del “mordace” erbamat

di Livia Belardelli 29/11/19
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Erbamat vitigno Franciacorta

Antico vitigno franciacortino oggetto di uno studio specifico per anni, l’erbamat nel 2017 è entrato nel disciplinare del Franciacorta. L’assaggio delle basi lo svela come ottimo elemento per conferire freschezza.

Diversi anni di sperimentazione, micro-vinificazioni e studi hanno portato all’inserimento del vitigno erbamat nel disciplinare del Franciacorta. Ci racconta del progetto Roberto Paladin, proprietario di Castello Bonomi, una delle cinque aziende che ha deciso di abbracciarlo in collaborazione con l’università degli studi di Milano. 

Il gruppo Paladin nasce in Veneto – circa trent’anni fa con Bosco del Merlo – ma la volontà di aggiungere alla sua produzione anche una bollicina diversa, ottenuta con metodo classico, lo porta nel 2008 in Franciacorta. Qui Roberto Paladin si innamora di Castello Bonomi, azienda vicino al Monte Orfano, in un microclima particolare protetto dal monte, con un clima più caldo e asciutto rispetto ad altre zone della Franciacorta, e ricco di calcare e minerali. Qui comincia a produrre Franciacorta e sin da subito a sperimentare.

L’inserimento di un vitigno “nuovo” all’interno di un disciplinare ormai consolidato come quello del Franciacorta rappresenta sicuramente un evento importante che nasce dall’esigenza di preservare e affermare l’identità territoriale e di preservarne la biodiversità. 

Ma perché parlare di erbamat?

Lo spiega il Professor Leonardo Valenti dell’università di Milano, responsabile del Progetto Erbamat. La necessità di fare sperimentazione su altri vitigni del territorio nasce dalla curiosità di scoprire se e quali varietà autoctone possano essere spumantizzate e dare buoni risultati. D’altronde pinot nero e chardonnay sono i vitigni principe del metodo classico ma lo sono in Franciacorta come in tante altre zone spumantistiche del mondo. Aggiungere qualcosa di prettamente autoctono potrebbe dare una rappresentazione territoriale più marcata e un’ulteriore caratterizzazione.

Lo studio viene condotto dal 2010 su diversi vitigni semi abbandonati del territorio ma, dopo diverse vinificazioni, l’unico con prestazioni interessanti si rivela l’erbamat. L’“erbamatta”, in nomen omen, è però un vitigno difficile, di spiccata acidità, dal grappolo serrato che fatica a maturare ed è soggetto a marciumi. Nonostante la difficile gestione ha però un grande plus, un’epoca di maturazione diversa rispetto a pinot nero e chardonnay. In un periodo di cambiamento climatico che ha ridotto ancora di più il ciclo di raccolta delle uve – con un ingaggio impressionante di manodopera concentrato in 15-20 giorni – l’erbamat si distacca decisamente come periodo vendemmiale essendo un vitigno più tardivo, raccolto anche intorno alla fine di settembre. 

Castello Bonomi, insieme a Barone Pizzini, Ronco Calino, Berlucchi e Ferghettina, aderisce a questo progetto di recupero del vitigno sovrainnestando una porzione di vigneto declassandolo da Franciacorta a vino da tavola per portare avanti la sperimentazione. 

Assaggiando le prime basi si evidenzia subito l’acidità malica spiccata, il ph basso e una presenza in bocca tagliente e verticale. È più adatto dunque ad essere inserito in un blend piuttosto che lavorato in purezza per poterne sfruttare le caratteristiche e per integrare, con la sua acidità malica, ciò che manca in annate più calde, conseguenza sempre più comune a causa del cambiamento climatico. E così, dal 2017, entra nel disciplinare del Franciacorta con una percentuale variabile fino a un massimo del 10%.

Per ora sono ancora poche le bottiglie che presentano una percentuale di erbamat ed è ancora da vedere quali e quante aziende decideranno di adottare nel blend l’antico vitigno “mordace”, così citato già da Agostino Gallo nel 1564 nel suo trattato sull’agricoltura, dando al Franciacorta quell’ulteriore tocco di caratterizzazione territoriale.





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