Il metodo Perillo

Una sintesi? Perillo sa attendere sia in vigna che in cantina.
Ultimamente ho assaggiato con Daniele Cernilli alcune annate di Taurasi della cantina Perillo. Un momento di condivisione, confronto e scambio con il direttore con il quale ho il piacere e l’onore di collaborare da tempo.
Il Taurasi della cantina Perillo è stato il protagonista assoluto dell’incontro: più che invitarci a parlarne, ci ha lasciati ancora una volta senza parole. È un vino sul quale - dopo il primo sorso - cala il silenzio. Per quanto ci si sforzi di paragonarlo ad altri straordinari vini, Perillo rimane Perillo, anche quando si tenta in tutti i modi di associare la grandezza di alcune sue annate a qualche classico e intramontabile Barolo.
Ma che cosa rende straordinario il vino di Perillo? E per quale ragione risulta difficile fare paragoni? Semplicemente il “metodo”.
Il metodo Perillo, appunto, sconosciuto ai tanti produttori che hanno fretta di mettere in commercio i propri vini. Per intenderci, tra qualche mese sarà in commercio il Taurasi annata 2010 e la riserva 2005, le sue annate in corso.
Il metodo consiste in una lunga sosta del vino in cantina, in un lunghissimo affinamento e - ancor prima - nei moltissimi travasi. Ma comincia già col saper attendere il momento giusto della vendemmia - né un giorno prima, né un giorno dopo - che in certe annate arriva a compiersi a dicembre, perché l’aglianico è una brutta bestia, non matura presto, è tardivo, ha una forte presenza di acidità tartarica e possiede un’importante struttura tannica, e inoltre è adatto al lungo invecchiamento.
Perillo sa attendere sia in vigna che in cantina, perché il vino che porta il suo nome deve essere autentico, con tratti distintivi precisi e riconoscibili, e l’approccio enologico di trasformare l’uva in vino non deve essere invasivo né alterare lo spettro aromatico dall’impronta di origine. Semplice, no?
Michele Perillo ha ereditato il suo metodo dalla terra e dalla vigna con la quale ha un rapporto di simbiosi, “normale” per lui, cresciuto tra le piante centenarie di aglianico a coda di cavallo (biotipo locale) e tra quelle pre-fillossera di coda di volpe. A proposito di questo vino bianco, nonostante la continua richiesta che non riesce a soddisfare vista l’esigua quantità prodotta, non ha ampliato la coltivazione con nuovi impianti, ma si basa su ciò che producono le attuali 60 piante sparse qua e là tra i vecchi filari disordinati di aglianico, che giacciono su terreni con sedimenti argilloso marini, ricchi di carbonati di calcio e pietre, e dove - scavando qualche metro - si scorgono fossili di conchiglie.
Il Taurasi di Perillo piace per quell’elegante riservatezza contadina, rara e autentica, per quella longevità che sfida il tempo, mantenendo e sviluppando profumi che rimangono strettamente legati al vitigno e che rimandano a Perillo. Michele sta trasmettendo il “metodo” a Felice e Nicola, i figli che lo seguono in ogni pratica.
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Perillo
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