Rossese di Dolceacqua Posaú. Liguria montanara (1)

di Francesco Annibali 22/02/17
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Rossese di Dolceacqua Posaú. Liguria montanara (1)

«Il confine non è tra Italia e Francia: coinvolge tutto il Mediterraneo. Ci sono tre grandi personaggi nel Mediterraneo: il Golfo di Genova (Montale), il Golfo di Marsiglia (Valéry) e il Golfo di Orano (Camus) che hanno creato una civiltà letteraria legata alle cose, in cui le cose parlano al posto dell'uomo. I loro paesi diventano aspri e emblematici di una civiltà umana legata a una sorta di corrosione dell'esistenza, quella che provoca il salino. È una civiltà data dalla luce e dal sapere, dalla lucidità e dalla corrosione», rivelava solo pochi anni fa Francesco Biamonti all’Avvenire.

Poeta solitario e altissimo, originario di San Biagio della Cima, cuore del Rossese di Dolceacqua, Biamonti parla della vigna di Posaú - situata proprio a San Biagio - nel suo più celebre romanzo, L’Angelo di Avrigue: una vigna «lontana e abbandonata, al culmine di una strada veramente appesa e tortuosa, attigua al ‘posatoio’».

Un territorio, quello del Rossese, non facile da posizionare in mente, almeno per quella parte di persone - di certo un'ampia maggioranza - che riducono la Liguria alla costa, meravigliosa e frastagliata. C’è però una Liguria "altra", quella che diventa subito montagna, che sente meteorologicamente il mare, ma anche, culturalmente, il vicino Piemonte. Il Rossese di Dolceacqua si trova lì: nell’entroterra imperiese, a due passi dalla Francia. Ma il confine non è tra Italia e Francia, come ci insegna Biamonti. Piuttosto, tra mare Mediterraneo e austerità sabauda.

Purpureo vivo ma non molto intenso, tipo grenache, dal profumo chiaroscurato e dal tannino generalmente lieve e discontinuo - aspetti attraverso i quali molti critici lo ricollegano alla Borgogna - ma con un temperamento austero, piemontese. A limitarsi ai tratti del volto, verrebbe da pensare invece al Rodano, per le spezie, e al mare, per i balsami.

Prima denominazione di origine della Liguria (era il 1972), il Rossese di Dolceacqua ha conosciuto nell’ultimo decennio una forte crescita qualitativa, grazie alle maggiori attenzioni alle fasi di vinificazione, che hanno permesso di evitare le riduzioni tipiche del vitigno.

La vigna, dal canto suo, si autolimita naturalmente, trattandosi di terrazzamenti allevati ad alberello, che necessariamente restituiscono uve di qualità. Una vigna nutrita da un suolo di arenaria, pietra prealpina sedimentaria. Un tempo in fondo al mare, si è compattata formando l'attuale arenoscisto.

Giovanna Maccario è, forse, la produttrice che negli ultimi dieci anni ha fatto di più per la promozione della zona, insieme al marito Goetz Dringenberg. Oggi i suoi cru, Posaú, Luvaira e Curli (il primo e l’ultimo sono, in pratica, monopolio aziendale), sono forse i vini più ricercati dagli appassionati. Proveniente da una vigna fredda e vinificato in parte con i raspi, il Luvaira è cupo e austero, con un tono erbaceo/balsamico di eccezionale finezza e con una fragranza floreale struggente. Il Curli, definito da Veronelli "la Romanée – Conti d’Italia" (avete letto bene) è selvatico ai profumi, e con tannino relativamente più compatto al palato. Il Posaúè  invece una vigna più calda e attualmente la più nota dell’intera denominazione, mentre il Posaú Biamonti ne è la parte più ricca: una parcella di 2800 mq costituita in gran parte da piante ad alberello centenarie, con un suolo ricco di cristalli di calcite. Questa parcella è sempre stata vinificata a parte, ma solo dal 2014 viene anche imbottigliata in purezza. 

DoctorWine: il nome Posaú ormai è diventato familiare tra gli appassionati.

Giovanna Maccario: la cosa non può che farci piacere. Si tratta di due grandi anfiteatri con orientamento prevalente sud-est, per un totale di 15000 mq. Vigneti completamente terrazzati, con due filari per fascia disposti parallelamente ai muretti e una pendenza media intorno al 40%. Il terreno presenta uno scheletro evidente, costituito in prevalenza da roccia calcareo arenacea, ricca di mica e silice. Sono frequenti gli affioramenti di cristalli bianchi di calcite, soprattutto nella parte superiore. L’altitudine varia dai 300 ai 360 metri. Il sistema di allevamento è ad alberello provenzale, ovvero con piante a più bracci, dai 50 ai 100 anni di età. A maggio le piante vengono pulite leggermente, al fine di favorire l'arieggiamento dei grappoli, e quindi sfruttare al meglio la brezza sempre presente nel vigneto. La concimazione avviene tramite pellet di letame. Essendo il vigneto esposto a sud-est e non essendoci mai rugiada al mattino, il problema principale è l'oidio, che combattiamo con l'uso di zolfo in polvere, aggiunto di rame in polvere (ad esclusione del periodo di fioritura). L'ultimo trattamento si effettua intorno al 20 luglio.

DW: in cantina come si comporta il rossese?

GM: premetto che sono 25 anni che faccio questo lavoro e non ho mai pensato di costruire tecnicamente un vino. Semplicemente vinifico nel modo più naturale possibile l'uva che il vigneto mi dà. Unica imposizione mia, negli ultimi anni, dove la vendemmia è anticipata a settembre, è il controllo della temperatura il 5°-6° giorno, ovvero nel momento di massima ebollizione. Non voglio che la temperatura salga sopra i 27 gradi. I vini vengono vinificati in acciaio, per evitare riduzioni. Tutto qui.

DW: in cosa si distinguono, bicchiere alla mano, i Rossese di Posaú?

GM: direi che il pepe bianco è sempre spiccato, e nelle annate migliori domina sui piccoli frutti rossi. È uno dei miei vigneti più caldi. In alcune annate, come la 2011 e il 2014, non ha svolto la fermentazione malolattica. A volte nel rossese succede.

A domani, per la seconda parte della nostra intervista a Giovanna Maccario e la degustazione verticale dei vini.

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