C’era una volta il 1971

di Daniele Cernilli 18/05/20
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Vendemmia 1971

Oltre ad essere un’ottima annata, il 1971 determinò una presa di coscienza da parte dei produttori sulla possibilità di fare grandi vini anche in Italia come in Francia.

“Buono questo Nebbiolo, Gino”, “Disgraziato, questo non è un Nebbiolo, questo è il Barbaresco Santo Stefano di Neive Riserva 1971 di Bruno Giacosa!”. Il siparietto, che per me fu una sonora reprimenda, avvenne alla cena del Risit d’Aur, il premio creato dalla famiglia Nonino, agli inizi del 1980. Gino era Luigi Veronelli e io muovevo i miei primi ingenui e insicuri passi nel mondo del vino. 

Ma questo c’entra fino a un certo punto. Quello che c’entra, invece, è che il vino in questione era del 1971, un’annata storica per la vitienologia italiana. Fu una vendemmia magnifica in tutta Italia, ma principalmente in Piemonte e in Toscana, con qualche leggendario rosso del sud a fare la sua parte, come il grandissimo Taurasi Riserva di quell’anno dei Mastroberardino. Ci furono grandi Brunello Riserva di Biondi Santi, di Barbi Colombini e di Costanti. Ci furono dei Barolo formidabili, come il Monfortino, il Brunate di Cogno Marcarini, il Monfalletto di Cordero di Montezemolo e quello di Bartolo Mascarello. Poi, ovviamente, quel Barbaresco di Giacosa, il Rabajà di Prunotto, i Sorì di Gaja, l’Amarone di Bertani, il Gattinara di Travaglini, e tanti, tanti altri. Fu forse l’annata che determinò la definitiva affermazione del Sassicaia. Poi ci fu l’esordio del Tignanello, che con quella vendemmia uscì con l’etichetta di Silvio Coppola come “vino da tavola”. Non aveva ancora il cabernet sauvignon nell’uvaggio, c’erano solo sangiovese e canaiolo, ma non poteva all’epoca essere un Chianti Classico perché non erano utilizzate uve bianche all’epoca obbligatorie. E il Tignanello fu il primo vino “moderno”, frutto di un’origine, quella del vigneto omonimo a Mercatale, ma anche di un progetto che comprendeva design e marketing. E fu l’inizio di una cavalcata trionfale che dura fino ad oggi. 

Ma perché proprio il 1971? Al di là del fatto che l’annata fu spettacolare e ci furono molti ottimi vini, quell’anno determinò probabilmente nel mondo del vino una prima grande presa di coscienza. Anche in Italia si potevano fare vini paragonabili per qualità e affidabilità ai grandi francesi di Bordeaux soprattutto, e anche di Borgogna, che però all’epoca era molto meno conosciuta. 

Inoltre iniziava a esistere un pubblico di appassionati che, in virtù dei primi corsi dell’Ais e dell’Onav, si stava formando anche tecnicamente. Ovviamente i grandi rossi del ’71 uscirono sul mercato tra il ’75 e il ’78, quindi è a quel periodo che mi sto riferendo, ma se molti produttori cominciarono a immaginare di poter produrre e vendere vini più validi e costosi, era perché anche nel mondo del vino stava avvenendo ciò che avveniva nella società, un grande cambiamento.





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