Chi conosce il Bursòn?

Come sapete le mie digressioni vitivinicole romagnole stanno diventando sempre più frequenti, e non solo per il sangiovese. Nulla è stato più bello per me dello scoprire che a Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, si fa un vino da un vitigno particolarissimo e presente solo in questo piccolo comune. Bagnacavallo è il paese di origine di mia madre e questo ovviamente mi ha riempito di gioia. Non potevo resistere all’invito del bravo e simpatico Pierluigi Papi, che tra le innumerevoli consulenze ha anche quella del consorzio del Burson.
Il territorio quindi è quello del comune di Bagnacavallo, che non brilla per altitudine, siamo nella piana tra il fiume Sennio e il Lamone che ebbero un momento di gloria durante il secondo conflitto mondiale perché qui si fermò il fronte per alcuni mesi, prima dell’affondo finale degli alleati verso Milano. Bagnacavallo invece è un centro di lunghissima storia, noto fin dai tempi dei romani, basso impero, che avevano qui un importante posto di cambio cavalli sulla via Emilia che portava a Ravenna. Era anche un ricovero per le truppe distando i canonici 36 km da Ravenna.
Descritta leggermente l’ambientazione, ricordiamo che la zona è decisamente fredda con le maturazioni che vanno per le lunghe mentre i terreni sono di stampo alluvionale con una bella quota di gesso soprattutto verso il Sennio, mentre il territorio vicino al Lamone è più sabbioso dando caratteristiche diverse ai vini, tra i due fiumi la tendenza argillosa prevale.
Ma quale è l’uva alla base del Burson? La longanesi recuperata e riprodotta dall'omonima azienda verso la fine degli anni '70. Un'uva abbastanza tardiva, estremamente colorata e dai tannini piuttosto vivaci. La cena con i produttori è stata bellissima: si respirava un'aria di grande tranquillità e di gran voglia di fare, tutte sensazioni positive anche se sui vini ci siamo confrontati in modo vigoroso e senza tante moine, chiari e diretti: la conclusione? Beh c’è tanto da lavorare ma le varie anime del Burson esistono e i produttori sono coesi per fare qualità e massa critica onde presentarsi “fuori casa”. Il loro mercato di riferimento è quello belga che compra praticamente il 70% della piccola produzione, i prezzi sono remunerativi e i prodotti sono allineati al prezzo.
Nella tradizione si suole appassire le uve prima di vinificarle in una metodologia simil-Amarone che francamente non mi convince molto soprattutto se esasperata, mentre alcuni vignaioli stanno cercando una beva meno strutturata e più agile. Il prodotto mostra una bella tenuta all’invecchiamento piuttosto ovvia vista la carica antocianica correlata a buone acidità. Una visita ai vigneti ha denotato una grande pluralità di impianti dal GDC, al cordone speronato, che sembra il migliore nel rapporto qualità uva e numero di ore lavorative, ma è presente anche una specie di archetto doppio sebbene in misura minore.
Le cantine variano da produttore a produttore ma la piccola cantina nel sottoscala o nella vecchia stalla la fa ancora romanticamente da padrona. La simpatia e l’accoglienza dei produttori vale la visita e anche i vini vi meraviglieranno per la loro personalità; talvolta un po’ rustica ma molto coinvolgente. Quindi una bella escursione nella storia dei vignaioli d’Italia.
Per finire voglio segnalare l’eco-museo di Villanova, uno dei migliori d’Europa per capire la storia sociale ed economica del territorio, veramente ben fatto ed esaustivo. Inoltre è un museo “vivente” e coinvolgente non una mera serie di oggetti. Insomma vale la visita.
Di seguito i vini che ci sono piaciuti di più in degustazione.
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