Due vini storici da 100/100

di Daniele Cernilli 06/04/18
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Taurasi Riserva 1968 Mastroberardino Brunello di Montalcino Riserva 1983 Case Basse

Abbiamo stappato un Taurasi Riserva 1968 Mastroberardino e un Brunello di Montalcino Riserva 1983 Case Basse, vini immensi che hanno fatto la storia della vitienologia italiana 

A furia di scrivere editoriali su molti argomenti spesso mi dimentico di raccontare qualche esperienza di degustazione che vale la pena di sottolineare. Mi è capitato di recente, in due giornate successive, di assaggiare due vini che hanno fatto la storia della vitienologia italiana e che è sempre più difficile reperire perché le bottiglie rimaste sono ormai pochissime.

Sveliamo il mistero. Venerdì 30 marzo sono andato con Antonella Amodio, che spesso leggete qui, a trovare Piero Mastroberardino nella sua cantina di Atripalda, vicino Avellino. Mi aveva detto che stava per uscire con due nuovi vini, un Fiano di Avellino e un Taurasi, che faranno parte della nuova linea Stilema, e che, vi assicuro, rivoluzioneranno il campo dell’enologia irpina, e per farmi capire come, soprattutto nel caso della vinificazione del Taurasi, la sua idea era quella di recuperare l’antica tecnica messa a punto da suo padre Antonio. Accanto a quello, che era del 2015 e perciò giovanissimo, ha aperto un Taurasi Riserva del 1968, forse il più grande rosso del Sud dei suoi tempi e uno fra i più grandi vini italiani di sempre.

“Pensa – mi ha detto Piero – che la macerazione sulle bucce sarà durata una decina di giorni, non di più”, e questo per sottolineare come alcune idee legate a lunghi periodi di contatto fra vino e vinacce siano molto meno “tradizionali” di quanto vorrebbero apparire. Quel Taurasi sta per compiere mezzo secolo, che per un vino è un tempo infinito, ma sembrava fatto ieri. (Per la cronaca, se siete così fortunati da trovarne una bottiglia, il prezzo si aggira sui € 500).

Il colore era ancora molto vivo, di un rubino granato intenso, senza alcun riflesso aranciato, segno evidente di invecchiamento. Nei profumi, oltre a note balsamiche, si coglievano ancora profumi del frutto originario, l’amarena, anche in confettura, ma con una precisione e una nitidezza impressionanti. Niente toni speziati o vanigliati, all’epoca si usavano solo botti grandi. Il sapore era sostenuto da una spina acida evidente, la ragione fondamentale per la sua tenuta così straordinaria, che “duettava” con la componente tannica rimasta e con una struttura agile, elegantissima, che conferiva una bevibilità quasi “borgognona”. Impressionante la tenuta nel tempo, credo che nessuno avrebbe potuto immaginare la reale età di quel vino che appariva fresco e giovanile, e con molta vita ancora avanti a sé.

Seconda puntata il giorno dopo, al Goccetto di Roma, il wine bar che se non è la mia seconda casa è sicuramente il mio secondo ufficio. Sabato 31 marzo, con Sergio Ceccarelli che per festeggiare i suoi primi sessant’anni ha voluto aprire l’ultima bottiglia di Brunello di Montalcino Riserva 1983 di Case Basse che ancora conservava nella sua cantina. Altro vino immenso, che ha caratterizzato un’epoca e ha lanciato nel Gotha enologico mondiale quell’azienda. (Anche lui introvabile, nel caso lo recuperaste preparatevi a sborsare più di € 800).

Colore rubino granato carico, profumi di un’intensità incredibile, senza il minimo cedimento. Note di kirsch, amarena sotto spirito, lieve cacao, ribes, qualche accenno di liquirizia. Per un profilo di rara complessità e di stupefacente giovinezza, e senza il minimo accenno di note eccessivamente volatili. Il sapore era addirittura esplosivo, con i tannini ancora gagliardamente padroni del centro bocca, e con l’acidità di fondo che ridava agilità e bevibilità a una silhouette gustativa di formidabile carattere. Un vino grandissimo, territoriale, autentico. Forse il più grande rosso italiano della sua epoca e forse il migliore mai fatto da Soldera, secondo me.

Altri tempi? Certo, i cambiamenti climatici erano ancora delle ipotesi e non delle realtà. Le tecniche enologiche erano in evoluzione, non erano solo un portato di una tradizione acritica, ma neanche di fughe in avanti “moderniste”. Il senso profondo di quei vini, però, stava soprattutto in un’artigianalità “alta”, proposta da persone che non erano semplicemente viticoltori, ma “teste pensanti” della vitienologia dei loro tempi, che interpretavano tecniche tradizionali alla luce di conoscenze e di sensibilità personali e articolate. Argomenti all’ordine del giorno anche oggi.





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