Ciao Stefano

di Daniele Cernilli 05/08/19
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Stefano Bonilli e Daniele Cernilli

A cinque anni dalla scomparsa di Stefano Bonilli è bene che non sia dimenticato, per la sua incredibile opera di divulgazione della cultura enogastronomica italiana.

Stefano Bonilli ci ha lasciato cinque anni fa. Vorrei ricordarlo qui perché mi pare che il suo nome stia cadendo nel dimenticatoio e mi sembra davvero incredibile. Stefano è stato, come molti sanno, il fondatore del Gambero Rosso nel 1986, e lo ha diretto fino al settembre del 2008. In ventidue anni ha semplicemente reinventato il giornalismo enogastronomico mettendoci dentro passione e grande professionismo. 

Gli sono stato accanto per tutto quel tempo, collaborando soprattutto nel settore enologico e inventandomi la guida dei vini e il premio dei tre bicchieri, e l’ho conosciuto bene. Abbiamo anche litigato e non ci siamo parlati per sei anni. Poi ci siamo ritrovati, riscoprendo che l’affetto e la stima reciproca, e anche molta complicità e delle visioni della vita e del mondo, non erano cambiate. 

Nel frattempo lui aveva creato il Papero Giallo, il primo blog enogastronomico italiano, poi la Gazzetta Gastronomica. Io, che uscii dal Gambero due anni dopo, alla fine del 2010, DoctorWine. Cercando di continuare un percorso iniziato insieme, senza la pretesa di avere l’incisività che ebbe quel Gambero Rosso, ma almeno provando a sostenere gli stessi principi degli inizi. I tempi erano cambiati, la comunicazione sulla rete iniziava a imperversare, ma la voglia di fare un’informazione “giornalistica” come un tempo restava, forse un po’ romanticamente. 

Stefano ha scritto pezzi molto importanti nel nostro settore, ha scoperto e sostenuto giovani cuochi, ricordo ancora quando andammo da Bottura per la prima volta insieme. “Mi hanno detto che a Modena c’è un ragazzo molto promettente, ci dobbiamo andare”. Lui era bolognese, anche se nato altrove perché nel febbraio del ’45 la famiglia dovette “riparare” a Bosco Chiesanuova, perché a Bologna era pericoloso stare. Scoprire un nuovo, talentuoso e giovane chef in Emilia, per lui che era stato un habitué di Cantarelli, fu una soddisfazione immensa. 

Tutto questo non si può quasi più leggere, perché in una sorta di damnatio memoriae coloro che potrebbero riproporli al pubblico non lo fanno o non lo vogliono fare, evidentemente. Quindi tutti gli articoli nei quali, fra i primissimi, si rese conto della rivoluzione gastronomica che stava avvenendo in Spagna, con Adrià e Arzak e poi con gli altri, tutti i servizi fatti in Giappone, tutto quello che ha sostenuto sulla cucina italiana in oltre trent’anni di lavoro, i programmi da lui ideati sull’allora RaiSat Gambero Rosso Channel, compresa una lunga intervista in più puntate a Gualtiero Marchesi, che dovrebbe essere oggetto di studio in qualunque università di settore, si stanno inesorabilmente perdendo. 

Un patrimonio di idee, un esempio di lucidità e di lungimiranza che ha ben pochi uguali nel nostro piccolo mondo. E non aggiungo altro se non molta tristezza.





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